Contrada di Sant'Andrea
Colori: rosso e azzurro
1948 - "di rosso al leone rampante di giallo tenete con le zampe anteriori una torre di bianco murata e finestrata di nero, merlata alla guelfa"
1961 - Scudo: "di rosso al leone rampante d'oro che sostiene con le zampe anteriori una torre quadrata, speronata e merlata di bianco, finestrata di nero"
Nome del rione: Castiglioncello
Vittorie della Giostra: 9 (anni: 1933 - 1950 - 1984 - 1985 - 1986 - 1987 - 2004 - 2008 - 2010)
Vittorie premio corteggio: 5
Vittorie premio sbandieratori: 10
Vittorie premio tamburini: 6
Fieramente posato su di un’altura impervia e difficile, con le sue mura smozzicate e la sagoma severa stagliata nel cielo rosso fuoco del tramonto valdorciano, sta Castiglioncello del Trinoro, antichissimo "Castrum", oggi cuore della Contrada di Sant'Andrea della Giostra del Saracino di Sarteano.
Ripercorrendo le antiche viuzze del borgo, a guardar bene quelle mura decrepite è ancora possibile rintracciare le vestigia di un passato lontanissimo che improvvisamente balza davanti agli occhi e, come per opera di un abile mago, si è trasportati in un’altra età e par di sentire ancora i passi pesanti delle sentinelle sui camminamenti di ronda, lo sferragliare delle armature dei soldati, il vociare dei contadini, il cicaleccio delle comari, il battere degli zoccoli dei cavalli sull’acciottolato.
Questo modesto castello, al pari di tanti che dominano la valle dell’Orcia, è il documento parlante delle sue antiche origini che, certamente si possono far risalire all’epoca etrusca, come sembrano dimostrare i numerosi sepolcreti venuti alla luce nella zona circostante, ricchi di reperti di grande interesse archeologico.
Il nome stesso del fiume Orcia sembra derivare da quello della dea etrusca Horchia; un’altra interpretazione lo vuole derivante da una antichissima famiglia magnatizia Urcia.
Bisogna comunque giungere all’epoca della dominazione longobarda in Italia per trovare qualche notizia certa sul nostro castello. È
in questa epoca che la denominazione di "Castrum" entra a far parte del nome del castello: Castellionis (Castrum leonis).
In documenti di epoche successive lo troviamo attestato come Castrum Latromun, Castellionis Latronorum (1273), Castrum Castellionis Latronorum (1325) ossia Castiglione dei Ladroni da cui sarebbe poi derivato l’attuale Castiglioncello del Trinoro. A supporto di questa tesi sta l’analogia con la vicina Pienza che, prima di assumere tale nome, Corsinianum Latronum.
Secondo un’altra interpretazione la denominazione di Castiglioncello del Trinoro deriverebbe da "Castrum Leoncelli Trinaurum"; infatti nello stemma dell’antico comune è raffigurato un leone rampante che sostiene con le zampe anteriori una torre "tricuspidata".
In età medievale il castellione faceva parte dei domini dei conti Manenti, potenti feudatari di Sarteano, di origine longobarda.
Nel marzo 1117 Manente, conte di Sarteano, dona alla badia di San Piero in Campo, in Val d’Orcia, la metà del castello di Castiglione.
Nel marzo 1126 Manente conte, figlio di Pepo conte, emancipato dal padre, dona l’altra metà del castello di Castiglione al monastero di San Piero in Campo, alla presenza di Pietro vescovo di Chiusi e di Guido proposto della chiesa di Chiusi, nelle mani di don Guido, abate del monastero. In seguito, l’abbazia di San Piero in Campo fu aggregata a quella camaldolese Del Vivo.
Gli eredi del conte Manente mal rispettarono la volontà dei loro predecessori, rivendicando la proprietà del castello di Castiglione tanto che i monaci Camaldolesi ricorsero ai tribunali e il 9 ottobre 1185 Manente, nipote di Manente I, fu condannato dal giudice imperiale Ottone Zondadari per usurpazione dei beni del monastero del Vivo; la sentenza divenne poi esecutiva nell’anno 1210 contro il di lui figlio Rimbotto.
Nei primi decenni del secolo tredicesimo, la sovranità del castello fu contesa trai comuni rivali di Siena e di Orvieto; in un documento senese, stilato nel corso dei preliminari della pace di Poggibonsi del 1235, si asseriva che," il castello che gli orvietani chiamano Castiglione dei Ladroni, ma il cui nome comune e autentico è "Castiglione Senese" era compreso "ab antiquo" nel territorio di Siena.
È utile a questo punto aprire una parentesi sul quadro storico più ampio in cui si inserisce la storia del nostro castello. Nel 1247, al termine di una violenta guerra civile, i Guelfi Fiorentini furono cacciati dalla città e tutta la Toscana divenne ghibellina. Quando la fortuna dell’imperatore Federico II venne meno, le città toscane, anche le più fedeli all’impero, cominciarono ad agitarsi per trovare nuovi equilibri di potere.
I senesi, preoccupati di assicurarsi contro il pericolo costituito dagli Aldobrandeschi potenti signori di Santa Fiora, e altresì preoccupati per la vicinanza delle fortezze nemiche di Montalcino e Montepulciano, cercarono di allargare i loro domini in Val d’Orcia: nel 1251 comprarono dai monaci del Vivo il Castiglione.
La sottomissione di Castiglioncello fu pagata da Siena duecento lire, come asserisce il Sindaco del Comune, Arcangelo di Fabrello: "quo sexsolvimus et convertimus in exonerationem debiti dicti castri". (Caleffo Vecchio 2, n° 540, pag. 731)
Dietro la formale acquiescenza dei rappresentanti della comunità, si nascondevano dissensi; significativa in tal senso fu la fiera resistenza opposta dei due cittadini Panzo di Ranieri e Guglielmo Del Buono. Questi si rifiutarono di uscire allorché l’Assemblea Generale del Comune di Castiglione Senese, riunita il 13 agosto 1251 nella chiesa, accettò di abbandonare il cassero, come ordinato dagli inviati senesi. Le proteste dei due coraggiosi cittadini furono tuttavia vane e dovettero spegnersi miseramente.
L’episodio narrato, assai significativo per comprendere quanto duro e pesante fosse il dominio di Siena, specialmente in zone di frontiera come questa.
Il "Castrum" fu presidiato da una guarnigione senese comandata da un castellano pure senese, mentre le autorità locali persero di fatto ogni potere.
Nella primavera del 1254 i senesi si gettarono in una nuova guerra contro i fiorentini e i loro alleati orvietani, per il definitivo dominio su Montalcino e Montepulciano.
Con la pace di Monteriggioni, stipulata l’11 giugno 1254, Siena rinunciava alla signoria su Montalcino e Montepulciano in favore di Firenze; rinunciava altresì al possesso di Campiglia d’Orcia che fu restituita ai Visconti e al possesso di Castiglioncello del Trinoro (restituito agli orvietani?).
La pace tra Siena e Firenze non durò molto; avendo infatti i Guelfi ripreso il potere a Firenze, i fuorusciti Ghibellini si rifugiarono a Siena; inevitabile seguì la guerra fra le due città tradizionalmente nemiche. I Ghibellini, le cui ultime roccaforti in Toscana erano ormai rimaste Pisa e Siena, di gran lunga inferiori per uomini e mezzi, chiesero e ottennero l’aiuto del re Manfredi. La guerra si concluse a Montaperti, alle porte di Siena, con la terribile battaglia che "fece l’Arbia colorata in rosso".
Con la pace di Castel Fiorentino, il 10 novembre 1260, Firenze cedeva ai senesi tutti i diritti acquisiti precedentemente su Montalcino, Montepulciano, Campiglia e Castiglioncello; negli anni successivi Siena intraprese lavori di fortificazione del vecchio Castrum.
Le continue guerre avevano finito per svuotare i forzieri dell’erario pubblico cosicché per risanare almeno in parte la situazione economica, la Repubblica nel 1275 vendette i castelli di Tentennano, Montorsaio, Selva e Castiglione Senese alla potentissima consorteria dei Salimbeni, lasciando l’esercizio della giustizia ai nuovi signori.
Strategicamente interessante, data la sua posizione, Castiglioncello dovette avere anche una notevole importanza spirituale dato che, verso la fine del tredicesimo secolo, sia il vescovo di Chiusi che i monaci Camaldolesi vi accampavano diritti spirituali (e forse non solo spirituali). Nel 1292 fu emanato un lodo che dichiarava Castiglioncello sotto la giurisdizione spirituale dei monaci e la chiesa di Sant'Andrea unicamente soggetta alla sede apostolica.
Galgano Vichi vissuto a Siena tra la fine del diciassettesimo e gli inizi del diciottesimo secolo, trascrisse un documento senese del 1318 in cui erano registrati tutti i beni immobili dei sottoposti alla Repubblica di Siena.
Scrive il Bichi: "Chastiglioncello la Tronor, el Castello e pocisioni erano dè figliuoli erede di messe Brettachone dè Salimbeni ed era stimato lire 13.333, sol. 6, den. 8, al catasto di Santo Donato a lato la Chiesa". In un documento del 1325 Riccardo del fu Puccio, conte di Chianciano e l’abate Bernardo di Spineta si riconoscono debitori solidali del nobile uomo Pietro del fu Brettacone Salimbeni per la somma di Lit. 150 cortonesi. Il documento fu rogato "in Castro Castlionis latronorum" da Bindo di Lapo notaro.
Nel corso della guerra tra i senesi e i perugini per il dominio di Cortona, Castiglioncello fu conquistato dai perugini e successivamente riconquistato nel 1368 da Cione di Sandro di quei Salimbeni arrivati ormai all'apice delle loro fortune.
Il possesso del castello passò poi al figlio di Cione, Cocco; con un atto stipulato in Castiglioncello nel 1404 Siena si obbligava a difendere i domini del Salimbeni tra cui Castiglioncello stesso.
Cocco esercitò sui suoi possedimenti una durissima tirannia che lo rese inviso ai suoi sudditi; altrettanto inviso divenne ai senesi per le sue pratiche con i nemici della Repubblica, tanto che questa decise di espellere il Salimbeni dai suoi castelli.
Cocco stabilì alla Rocca di Tentennano (Rocca d’Orcia) il suo quartiere generale e mentre era qui assediato dai senesi, gli abitanti di Castiglioncello (che a quei tempi si chiamava Castiglione dei Salimbeni) si impossessarono del cassero espellendone il castellano di Cocco con l’intenzione di reggersi autonomamente a comune. Ma dopo la resa del Salimbeni, fu stabilito che i castelli di Rocca a Tentennano, Castiglion d’Orcia, Celle e Castiglioncello, tornassero di proprietà della Repubblica; Siena inviò a Castiglioncello un commissario che stipulò un accordo in base al quale fra gli altri privilegi, gli abitanti di quel castello ottennero di avere un "Giusdicente" da una terna che ogni anno avrebbero inviato a Siena. Inoltre, offrirono un palio di 50 lire promettendo di non accogliere più in Castiglioncello alcun familiare del Salimbeni, con facoltà di incamerare nei possessi della comunità, quelli di Cocco. Tali capitoli si rinnovarono ogni 25 anni finché nel 1497 la Repubblica di Siena li confermò in perpetuo e da quel momento Castiglioncello seguì le sorti della Repubblica.
Dopo la capitolazione di Siena sotto i colpi della potenza medicea, durante la disperata resistenza dei fuoriusciti senesi a Montalcino, Castiglioncello del Trinoro fu tra i castelli della Val d’Orcia che giurarono fedeltà a quest’ultimo baluardo senese.
Nel maggio del 1555 dopo aver tentato sotto la guida del capitano del castello Francesco da Urbino, di difendersi dall'artiglieria di Chiappino Vitelli, Castiglioncello si arrese a discrezione alle truppe del duca Cosimo dei Medici che ormai si stavano impadronendo di tutta la Val d’Orcia.
Nel 1559, dopo quattro anni di devastazioni feroci, di scorrerie, di saccheggi e dopo aver subito ogni sorta di tribolazioni, ciò che restava della Repubblica di Siena si arrese definitivamente e il Duca Cosimo I divenne signore di tutta la Toscana.
Nel 1646 Castiglioncello fu dichiarato feudo del granduca Ferdinando II che lo concesse a Roberto Cennini col titolo di marchesato, rinnovato nel 1738 a favore del marchese Domenico Cennini.
Nel 1640 la parrocchia di Castiglioncello del Trinoro contava 302 anime, nel 1745 237 e nel 1843 annoverava 339 abitanti. Oggi a Castiglioncello del Trinoro, progressivamente trasformato in albergo diffuso, vivono pochissime persone, ultime eredi tenaci di tante generazioni di uomini e donne che abitarono, lottarono, morirono in questo antico castello, difendendone le mura e la libertà dai troppi nemici che le minacciarono nei secoli.